I dolcificanti sostituti dello zucchero, anche se a bassissimo tenore calorico, non sono affatto inerti nell’organismo umano, e alcuni di essi possono avere effetti nocivi, perché interferiscono con il microbiota intestinale, modificandone la composizione e, quindi, le funzioni. Anche per questo la ricerca di nuove molecole è continua e propone alternative che sembrano migliori, come una miscela che contiene mogroside, sintetizzata a partire dall’estratto di una pianta.
Il fatto che edulcoranti (questo è il termine corretto per definire quelli che comunemente vengono detti dolcificanti) in uso in tutto il mondo da decenni, al di là delle calorie, non siano del tutto innocui, è noto da tempo, ma ora uno studio appena pubblicato sulla rivista Cell dai ricercatori del Weizmann Institute of Science, in Israele, lo conferma, aiutando anche a capire che cosa, specificamente, si verifichi dopo l’assunzione di quattro composti. Per comprenderlo, i ricercatori hanno selezionato, in un campione iniziale di 1.300 persone, 120 soggetti che non assumevano mai edulcoranti, in base a una loro scelta, ed erano adatti per studiarne l’effetto. Quindi hanno suddiviso il campione in sei sottogruppi, due di controllo e quattro ai quali è stato chiesto di assumere dosi nettamente inferiori a quelle massime (indicate dalla Fda) di aspartame, saccarina, stevia o sucralosio. Dopo l’assunzione i ricercatori hanno analizzato la composizione del microbiota intestinale e anche la concentrazione nel sangue di alcuni metaboliti che svolgono un ruolo importante nel mantenimento dell’equilibrio glicemico. Hanno così visto che ognuno dei quattro edulcoranti altera significativamente le popolazioni batteriche residenti e che la saccarina e il sucralosio interferiscono direttamente con il metabolismo degli zuccheri.
Per capire meglio, gli autori hanno fatto un passo ulteriore, e cioè hanno trasferito campioni microbici dei volontari in animali germ free che, cioè, erano stati cresciuti in ambienti sterili e, di conseguenza, non avevano un proprio microbiota. Hanno così confermato che in tutti gli animali che avevano ricevuto il microbiota condizionato dai dolcificanti si vedevano alterazioni del metabolismo degli zuccheri e che tali anomalie erano del tutto simili a quelle già viste nei volontari umani, mentre in quelli che avevano ricevuto il microbiota di controllo non si vedevano modifiche del metabolismo glucidico. Questo dato ha fatto capire che le alterazioni causate dagli edulcoranti sono molto specifiche e variano da persona a persona, perché dipendono anche dalla microflora preesistente e dalle condizioni di salute di chi li assume.
La conclusione degli autori è che bisogna spiegare ai consumatori che questi prodotti non sono inerti e che gli effetti a lungo termine sono in gran parte sconosciuti, soprattutto per chi li utilizza regolarmente. Inoltre bisognerebbe abituare le persone a ricercare meno spesso il gusto dolce e, contemporaneamente, continuare a lavorare per trovare sostituti dello zucchero più sicuri.
A quest’ultima richiesta risponde idealmente lo studio pubblicato su Journal of Agricultural and Food Chemistry. Il lavoro illustra le caratteristiche di una nuova miscela messa a punto dall’Istituto di ricerca in scienze dell’alimentazione (Cial) di Madrid che potrebbe avere un effetto opposto sul microbiota, e cioè agire da prebiotico. In questo caso, infatti, gli autori sono partiti da una famiglia di zuccheri ben noti, i galatto-oligosaccaridi, presenti nel latte materno, a basso contenuto calorico e con qualità prebiotiche, ma anche poco dolci, e per questo non utilizzati come sostituti dello zucchero. Poi hanno studiato un secondo componente, membro della famiglia dei mogrosidi, estratti dal frutto cinese chiamato luo han guo o monk fruit (Siraitia grosvenorii), da 200 a 300 volte più dolci dello zucchero, di solito con un retrogusto che li rende poco appetibili, correggibile però con enzimi.
Unendo quindi il lattosio (il galatto-oligosaccaride più noto), il mogroside V e l’enzima beta galattosidasi gli autori hanno ottenuto una miscela che, sottoposto a un panel di ricercatori esperti del settore, è risultato del tutto simile al saccarosio. Inoltre, sperimentato sul microbiota intestinale in test in vitro, si è dimostrato capace di stimolare le due famiglie batteriche più benefiche, i lattobacilli e i bifidobatteri, e di far aumentare i loro metaboliti più preziosi come l’acido butirrico e l’acido propionico. Ora i test proseguono per verificare tutte le caratteristiche della miscela. Se i primi risultati dovessero essere confermati, i dolcificanti di nuova generazione potrebbero avere caratteristiche decisamente migliori rispetto a quelli tradizionali.
Agnese Codignola – giornalista scientifica de “Il Fatto Alimentare” 30 Agosto 2022